Igor Francescato Blog

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LA PRIMA TORTA NON SI SCORDA MAI

Ho preso il solito the al distributore automatico, terzo piano della palazzina in cui lavoro. Poi avrei preso la solita Fiesta a quello accanto. Mi fermo in tempo: avrei buttato 60 centesimi. La molla che torcendosi su sé stessa fa cadere il prodotto scelto, infatti, avrebbe fatto un giro a vuoto perché la merendina si trovava a due giri di molla, chissà perché.

E allora giù alla macchinetta del secondo piano. Lì la Fiesta nun ce stava. Allora ripiego su un cornetto Bauli “5 cereali” perché la scritta sotto l’immagine del cornetto “da uova di galline allevate a terra” mi convince. Ma mi vien da pensare che nei prodotti dolciari in cui non c’è scritto che le uova sono da galline allevate a terra, allora sono prodotte da galline allevate in gabbia. Pare brutto scrivere “da galline allevate in gabbia” e allora non scrivono niente. Ma non sarebbe lecito sapere cosa mangiamo? Ma prima ancora: riflettiamo mai su ciò che compriamo e che poi mangiamo? Con la coscienza un poco apposto leggo la lista infinita degli ingredienti scritta in molte lingue (lo stesso croissant lo mangio io ora e magari lo sta mangiando in questo momento un bambino francese, tedesco, spagolo o di chissà dove, a migliaia di chilometri di distanza da me: il bello della globalizzazione). Lo spezzo, lo intingo nel bicchiere di plastica del the caldo e giù nel gargarozzo. Che colazione allegra e sana! E’ veramente una gioia la mia colazione. Al bar andrebbe un po’ meglio, ma per varie ragioni non ci voglio andare al bar. E allora mi viene la riflessione alta del giorno: ma se invece di mangiare la merendina globalizzata, la mattina mangiassi una fettina di torta fatta da me, diciamo localizzata? Peccato però che io non abbia mai fatto una torta in vita mia e non so manco da dove si cominci. Comincio da qui: chiedo ad una mia amica, esperta di dolci, una ricetta semplice per una torta al cioccolato, che mi piace tanto il cioccolato. Mi arriva la “Torta Manuela”, forse ce la faccio, proviamo.

Però devo dire che io non sono un goloso di torte. Anche da piccolo non lo ero. Anzi, le torte con le creme, super farcite, non mi sono mai piaciute. Ma le crostate di frutta o le torte al cioccolato… mmmmmm, che bòne! Anche i miei amici sanno che io non amo un certo tipo di torte, almeno l’hanno scoperto, e credo se lo ricordino bene, quegli amici che c’erano quell’unica volta in cui io, ad una delle mie solite feste di compleanno a casa, mi presentai con una torta farcita alla panna, una di quelle maestose che troneggia nelle vetrine dei pasticceri. L’avevo preparata io personalmente. Avevo preso in pasticceria il supporto di plastica dorata e decorata su cui si poggia la torta (volevo fare le cose per bene). Solo che su quel supporto la torta non c’è mai stata. Avevo ritagliato del cartoncino bianco e l’avevo ripiegato su sé stesso a formare un anello. L’anello di cartone l’ho messo in verticale sul vassoio dorato, a formare un cerchio vuoto. Ho versato sopra della farina, qualche centimetro. Per riempire il cerchio, ho messo un altro pezzo di cartoncino rotondo, fissandolo al pezzo di sotto con dello scotch. E’ stato facile fissare alcune candeline, che facilmente hanno bucato il cartoncino. Ed ecco la torta: ho coperto la sagoma di cartone con la panna spray, bella abbondante. Dovete sapere che al buio ciò che sembra, di solito non è. Le luci erano spente quando arrivai nella baracchetta delle feste, partito dalla cucina, attraversando il giardino. La luce fioca e tremula delle candele lasciavano appena intravedere il mio viso e la torta alla panna che tenevo in mano. Venni accolto, entrando, dal canto degli amici che intonavano “Tanti auguri a teeeee!”, e, se non ricordo male, il mio babbo, grande chef di tutte le mie cene di compleanno, che mi aveva aiutato a fare la torta, rincarava la dose aggiungendo al ritornello “E la torta a meeeeeee!”. Arrivai piano al mio posto, capo tavola della lunga tavolata rettangolare che occupava tutta la sala. Salii sulla sedia, simulai tantissima gioia e aspettai l’applauso, a fine canto. Guardando gli amici che m’erano di fronte dissi serio, lentamente: “E siccome a me la torta non piace…”. Fu un attimo: presi la torta e la lanciai davanti a me come se fosse un fresbee. Passò, anzi volò in un attimo attraverso la stanza, sfiorò il naso di molti e finì in piccole macchie bianche sui vestiti di molti altri. Seguì momento di stupore. Tutti interdetti. Ruppi il silenzio con una risata fragorosa. “Vi avevo detto che non mi piace la torta!”, risi a crepapelle, tra lo sbigottimento generale. Poi spiegai lo scherzo, ma comunque non la presero molto bene i miei amici. Anche perché, quella sera, non seguì poi una torta vera. Ah ah ah!

Finalmente ho un buon motivo per fare la mia prima torta vera. Giro due negozi per comprare gli ingredienti: al primo trovo il lievito in bustine, nel secondo prendo le uova biologiche (confezionate in un contenitore di plastica, perché sarebbe troppo intelligente ed ecologico il cartone), lo zucchero a velo e prendo anche la terrina rotonda in alluminio per infornare la torta. Il burro, lo zucchero e la farina che mancano alla ricetta li ho già. Non avendo la bilancina, decido di andare “a occhio” e di usare un bicchiere da vino (circa 1/10 di litro, ovvero 100 gr.) per il dosaggio.
E ora ci metto del mio. Il burro, a occhio, è meno dei 150 gr. previsti, la farina “00” dovrebbe andar bene (100 gr.), lo zucchero semolato è fin troppo (ma la prossima volta userò con quello di canna, più salutare). Decido di usare il cioccolato al latte anziché fondente (2 tavolette da 100 gr. l’una) e di mettere 3 uova anziché 4, così, per essere trasgressivo. Mi metto il grembiulino da massaia (quello che si lega dietro), metto sul fuoco un pentolino e faccio sciogliere il burro (biologico ma scaduto, ma questo non lo saprà nessuno). Nel frattempo ho sbriciolato le 2 tavolette di cioccolato su un tagliere, usando un coltello massiccio e tagliando le barrette in verticale, come fossero una cipolla. Aggiungo al burro fuso i pezzetti di cioccolato e mescolo: si scioglie subito, che bello, non ci speravo, perché la ricetta infatti consigliava di sciogliere tutto a bagnomaria (troppo complicato). Trak trak trak, rompo le uova e le metto in una terrina di ceramica (quella per le insalate). Le sbatto ben bene con la frusta che si usa per la polenta, avendo l’accortezza di mescolare sempre in senso orario (ho fatto l’alberghiera da giovane, qualcosa so). L’impasto giallo che vedo, mi ricorda un po’ lo “sbattutino” che mi faceva da piccino la mamma e sento, in mente mia, il profumo delle uova di allora (è un ricordo di profumo, perché queste uova, anche se biologiche, non profumano). Aggiungo piano piano un bicchiere di zucchero (100 gr.? beh, circa!), mescolo con forza e poi dentro anche la farina (1 bicchiere e ½, 150 gr. circa), che naturalmente vola fuori e mi sbianca le maniche scure della camicia. Metto la bustina di lievito (16 gr.) e continuo a menare l’impasto, che è diventato bello denso. Verso infine la cioccolata fusa col burro e amalgamo ben bene. Preparo la vaschetta tonda e, infine, verso sopra il tutto. L’impasto riesce appena appena a riempire la base, ed è così bravo, l’impasto, che piano piano si distende da solo sul fondo. E’ una crema marroncina profumata che sembra salsa mou. Accendo il forno a 160° e infilo l’amalgama: in mezz’ora dicono dovrebbe esser pronta. Do’ un’occhiata dopo 10 minuti ed ecco la sorpresa: la mia cremina s’è gonfiata, sta crescendo a vista d’occhio, che bello! E con lei crescono dei piccoli bernoccoli, che evidentemente sono i grumi dell’impasto che non ho sciolto… Opperbacco. Intanto in tutta la casa si spande un buonissimo profumo di torta! Chi non lo conosce quel magnifico profumino. E la mia Manuela di cioccolata continua a crescere, è diventata una mezza luna (irregolare) che s’innalza sopra la vaschetta, che spettacolo! Venti minuti dopo spengo il forno ed aspetto. La Manuela si sgonfia un po’, le basta superare di poco il contenitore, contenta lei… E’ ora di tirarla fuori da lì. Una gioia fanciullesca mi assale, ma è qualcosa di più, è come quando ti riesce una cosa che pensavi fosse irrealizzabile, e invece ecco, l’hai fatta! E che buona! Mia mamma l’ha definita “delicata”, io più che definirla, la magno. Tutto sommato era semplice. Certo, tutto diventa semplice dopo che l’hai fatto, prima sembrava una cosa irraggiungibile. Beh, io l’ho fatto, è la prima volta, in 41 anni. E la prima volta, come la prima torta, non si scorda mai.

 

la mia prima vera torta

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