Oggi, 14 febbraio, che si festeggiano tra l’altro i santi Santi Cirillo e Metodio,
vorrei condividere qui questo mio racconto breve che parla d’affetto.
Gli affettati, invece, sono da quella parte (ah ah!).
Il racconto in pdf si può scaricare qui dal mio sito.
La venditrice d’affetto
un racconto breve di Igor Francescato
Era una ragazza minuta, dall’aspetto curato, riservatissima, amorevole, dotata di una
sensibilità eccezionale. Era conosciuta da tutti come la venditrice d’affetto.
Questo era ed è sempre stato il suo lavoro, cominciato per la sua profonda vocazione e
predisposizione a donare affetto, un profondo e sincero amore per qualsiasi persona
incontrasse nel suo cammino.
Fin da piccola era la più amata dei quattro fratelli, anch’essi figli amorevoli, di rara
intelligenza e bontà d’animo.
Era lei che rimaneva con i nonni più a lungo, si divideva i week end dai nonni materni e da
quelli paterni. Rimaneva con gli uni e gli altri fino all’ultimo momento, quando il lunedì
mattina veniva accompagnata, da entrambi, fino all’ingresso della scuola e baciata sulla
fronte, mentre le raccomandavano di stare attenta e seguire diligentemente la lezione, ben sapendo in cuor loro che erano consigli superflui per una ragazzina speciale come Giulia.
Fu uno straordinario esempio di scolara modello. Non copiò mai una parola, non una formula matematica che applicava nei compiti la trascrisse da foglietti furbi, non chiese mai suggerimenti ai compagni.
Sbagliava perché non sapeva, o per distrazione: sbagliava per imparare, diceva. Il suo
rendimento rispecchiava la passione e l’impegno che metteva nello studio come in ogni cosa.
Aveva una parola buona, d’affetto, per ogni compagno, in ogni situazione. Erano allora quasi sciocchezze, le piccole ferite dell’animo che lei rimarginava con le parole e con i suoi gesti, ma erano destinate a rimanere a lungo in chi le riceveva, come i bei ricordi che non si scordano mai.
La gioia che sprigionava il suo viso rafforzava il messaggio d’affetto di cui le parole e i gesti erano manifestazione.
La cosa che certo traspariva chiara, e rendeva così potenti i suoi messaggi, era l’assoluta
sincerità delle sue parole. Si percepiva profondamente che quello che lei diceva e faceva era ciò che riteneva giusto.
Intraprese presto la professione di venditrice d’affetto, e non fu per sua determinata scelta.
L’enorme richiesta che quotidianamente le veniva da ogni parte e che lei non sapeva
rifiutare, spinta dalla sua irresistibile generosità, trasformò la sua magnifica qualità di
donatrice d’affetto, in onesto lavoro, per una modestissima vita.
Di certo non le restava tempo per fare qualcos’altro.
Trascorreva qualche minuto, a volte ore ma anche qualche giorno, con i bisognosi d’affetto,
persone di ogni estrazione e classe sociale, il cui numero alla fine degli anni ’70 era in
continua crescita.
Si prodigava in amorevoli gesti d’amore, dava preziosi consigli, rincuorava chi era stato
abbandonato, chi era solo, chi non aveva mai conosciuto l’amore dei genitori, o di un
compagno, chi era lontano da casa, chi veniva evitato dalla società. Anche coloro che in
nessun modo avevano trovato soluzione al loro stato d’infelicità, capirono grazie a lei che
solo l’affetto poteva guarirli.
Nel corso della sua vita rilasciò numerose interviste su cos’è l’affetto, e sempre le bastavano queste poche parole: “la necessità di essere amati”.
Quando il cronista insisteva e la incalzava di domande per riempire di qualche colonna il suo articolo del giornale pieno di violenza, morte e distruzione per cui scriveva, lei faceva
qualche semplice esempio. Diceva che l’affetto è fare felici gli altri, ricevere le fusa del gatto che si accarezza, passare una serata in compagnia di chi è solo, abbracciare un amico in partenza, ospitare per qualche giorno chi è stato sfrattato, regalare un sorriso, fare il più piccolo dei regali con il cuore, ascoltare chi ha bisogno di parlare, fare visita agli amici, stare con la famiglia.
Donò tutto il suo affetto agli altri.
Non si sposò e non volle avere figli o amanti perché sapeva che non avrebbe potuto dare
loro tutto l’affetto di cui avrebbero avuto bisogno, impegnata com’era a profonderlo agli altri.
Giulia morì sola, con il solo freddo affetto dei medici, il 3 gennaio 2000, quando il mondo
aveva sempre più bisogno di persone come lei.
/span
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